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Internet e copyright
Nel corso della seduta del 12 settembre il Parlamento europeo ha approvato la nuova direttiva sul diritto d’autore, che aggiorna le precedenti disposizioni del 2001. La principale differenza rispetto all’epoca è ovviamente l’ascesa di internet come mass media, con le conseguenti necessità a livello di regolamentazione. La materia è molto controversa e discussa, quindi urge fare un po’ di chiarezza.
Applicazione
Innanzi tutto quella che è stata approvata dal Parlamento UE è una direttiva, atto normativo comunitario con effetto vincolante. Di conseguenza, se fosse approvata in via definitiva gli stati membri sarebbero obbligati a recepirla nei propri ordinamenti.
Stato attuale
Non si tratta tuttavia di un “se” da poco: dopo l’approvazione del Parlamento europeo serve infatti il via libera del Consiglio dell’Unione Europea, composto dai ministri competenti dei vari stati. In altre parole il provvedimento non è ancora stato approvato in via definitiva, e quindi l’entrata in vigore della direttiva sul copyright è ancora molto lontana.
Gli articoli controversi
La gran parte del testo è abbastanza largamente accettato, trattandosi appunto dell’aggiornamento di norme che risalivano all’era pre-digitale (nel 2001 non esisteva ancora Youtube, per fare un esempio). I punti più controversi sono l’articolo 11 e l’articolo 13, chiamati dai detrattori della riforma “link tax” e “censorship machine”.
Condivisione dei link
L’articolo 11 prevede una regolamentazione dei link condivisi che preveda un’adeguata remunerazione per chi “sta dietro” quel link. In particolare è previsto che una notizia condivisa porti un guadagno sia all’editore che all’autore dell’articolo, con analoghe forme di tutela per gli artisti nel caso il link porti a un media di loro creazione. Importante notare come il compenso sia previsto solo per gli snippet (anteprime con immagine e le prime parole del testo): i singoli link non sono tassabili, anche se associati a una singola parola. Parimenti è liberalizzata la condivisione di notizie vecchie di 20 anni o più (anche con snippet).
Controllo dei contenuti caricati
L’articolo 13 prevede inoltre il controllo preventivo di qualsiasi contenuto caricato dagli utenti in una pagina web. In pratica qualsiasi caricamento (anche una semplice immagine su Facebook) dovrebbe essere sottoposto a un controllo preventivo per verificare se contenga contenuti soggetti a copyright o meno. Si tratta di qualcosa di simile a quanto già accade con il Content ID di Youtube, tecnologia a dire il vero molto costosa e non sempre efficace.
Chi si deve adeguare?
Il testo approvato è una seconda versione, riveduta e corretta rispetto a quella rinviata a luglio per mano dello stesso promotore, il tedesco Axel Voss. In particolare sono state precisate importanti eccezioni che rendono meno drastico il testo della direttiva.
Innanzi tutto gli utenti finali non dovranno pagare alcunché: l’obbligo di corrispondere il compenso (e la responsabilità in caso di inadempienza) ai detentori dei diritti spetta alle grandi piattaforme (come appunto Facebook, Twitter e Google), possibilmente per mezzo di appositi accordi con gli editori. Si accenna ai colossi del web non a caso: piccole e medie piattaforme sono esentate dai pagamenti.
Esenzioni totali sono inoltre previste per le enciclopedie senza fine di lucro (Wikipedia non sarà quindi soggetta alla nuova normativa), per le piattaforme open source (come GitHub) e per fini umoristici, satirici e parodici (nessun problema quindi per i meme).
Ragioni dei favorevoli
Facile quindi intuire le ragioni dei promotori della riforma del copyright, che ricordano come a pagarne materialmente le spese saranno solo i giganti del web, a tutto vantaggio di artisti, giornalisti e in generale creatori di contenuti (per cui sono previste speciali tutele anche rispetto ai loro editori).
Ragioni dei contrari
Le posizioni degli scettici sul testo rivisto insistono in particolare sull’articolo 11: non è detto infatti che Facebook, Google News e altri decidano di pagare tutti gli editori, preferendo magari cercare l’accordo con i principali e bloccando preventivamente tutte le condivisioni da altre fonti. Il risultato finale sarebbe una sorta di censura indiretta a tutto vantaggio dei grandi organi di comunicazione e delle major (quali le principali case discografiche).
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