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Sembra ormai chiaro che il 2019 non sarà un buon anno per i produttori di smartphone: su questo praticamente tutte le fonti sono concordi. Se infatti Trendforce stima una flessione del 3,3% sulla produzione globale di device, la stessa fonte non esclude che le tensioni fra Cina e Stati Uniti (di cui avevamo parlato di recente) possano fare alzare la cifra al 5%. Una stima di Credit Suisse addirittura parla di un rallentamento del 19%, che riporterebbe l’industria sui numeri del 2013.

Samsung: il primato

Per quanto riguarda la divisione delle quote di mercato, sembra regnare il vecchio adagio “fra i due litiganti, il terzo gode”. Le tensioni commerciali fra Cina e Stati Uniti dovrebbero infatti impedire ad Huawei e Apple di insidiare la coreana Samsung, che detiene il primo posto per numero di smartphone venduti. Il risultato dovrebbe infatti essere confermato con una quota di mercato attorno al 20%.

Samsung: un difficile 2018.

Questo nonostante la casa di Seul sia reduce da un infelice 2018, nel quale ha registrato un -8% di vendite e una generale sofferenza nei confronti dei nuovi brand cinesi nella fascia bassa. Proprio sul rapporto qualità-prezzo e sui mercati emergenti sembra intenzionata a puntare la casa coreana, sì da riscattare i deludenti risultati del 2018.

Huawei: un ottimo 2018.

Per Huawei il 2018 è stato invece un anno molto florido, in cui la produzione è cresciuta addirittura del 30% a seguito di ottimi risultati di vendita in Europa e presso la fascia alta in madrepatria. Quest’ultimo era un mercato in precedenza dominato da Apple, e sul quale le tensioni con gli Stati Uniti avrebbero quindi paradossalmente giovato.

Huawei: problemi all’orizzonte?

Finora le sembrerebbero non aver quindi intaccato il successo commerciale del colosso di Shenzhen, ma non è detto che nel 2019 la situazione non esploda. E’ infatti notizia degli ultimi giorni che, dopo gli stessi Stati Uniti, l’Australia, la Nuova Zelanda e (indirettamente) il Regno Unito, anche la Germania starebbe pensando di bandire i device Huawei da qualsiasi iniziativa correlata alla tecnologia 5G. Per questo motivo la stessa Trendforce è molto cauta a proposito della quota di mercato di Huawei, pur assegnandole un ottimo 16%.

Apple: ombre cinesi?

Dal canto suo, l’americana Apple sembra aver sofferto del ban di alcuni modelli di iPhone sul mercato cinese, in reazione alle analoghe restrizioni USA sui device Huawei. L’utenza premium cinese, da tempo fidelizzata a Cupertino, si è infatti giocoforza “riconvertita” ad Huawei, processo che presumibilmente continuerà nel 2019. Per questo motivo Trendforce assegna ad Apple una quota di mercato del 13%, sempre da rivedere in base agli sviluppi della tensione commerciale fra le due sponde del Pacifico.

Apple: la strategia.

A Cupertino d’altro canto l’idea non è certo quella di attendere gli sviluppi politici: sono infatti in programma importanti novità sia dal punto di vista hardware che software. Tim Cook punta infatti molto sia sulla prossima revisione hardware di iPhone che su Apple Music e su un prossimo servizio di streaming video.

Xiaomi

Dal canto suo, Xiaomi dovrebbe confermare l’ottimo 2018 (+32% di produzione) avvicinandosi al 10% di market share. Nel 2019 l’idea sembra quella di proseguire con la filosofia finora vincente, ovvero quella dell’integrazione nell’immenso sistema di prodotti e servizi a marchio Xiaomi.

OPPO e Vivo

Dietro Xiaomi, le cinesi OPPO e Vivo confermano quinto e sesto posto (rispettivamente 8% e 7% di market share), nonché le loro ambizioni di espansione in mercati esteri, data la saturazione di quello cinese.

Crisi cinese?

Sintomo principale della saturazione del principale mercato orientale è la chiusura o acquisizione di molti piccoli/medi brand cinesi nel corso del 2018, che ha giocato il suo ruolo nel crollo del mercato generale degli smartphone.

Difficoltà ad emergere.

Sarà quindi molto difficile per un brand emergente acquisire significative quote di mercato nel corso del 2019: da sole, le “sette sorelle” di cui sopra copriranno infatti ben il 74% del mercato, lasciando il resto del mondo a contendersi il restante 26%.

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